mercoledì 27 febbraio 2013

Le spine dei lillà







I fiori di lillà aiutano il web a colorarsi di primavera. Sotto i fiori di lillà, l’esperta di web marketing Carolina Venturini, aiuta i lettori a districarsi nella giungla della rete e dei social per trarre il meglio dalle opportunità che si incontrano. Come ci ha aiutato a fare tempo fa con questo post che tratteggiava un interessante parallelo tra l’imprenditorialità di un bar di paese e la spinta verso mercati nuovi. 


La prossima proposta di Carolina consiste in un corso rivolto a chi intende promuovere l’ambiente grazie ai social media (pomeriggio di sabato 9 marzo a Roma per informazioni contattate Carolina a questo indirizzo info@carolina-venturini.com). Se son lilla fioriranno, si potrebbe dire. Facciamocelo raccontare da lei




Social media marketing e ambiente: qual è la possibile sinergia?
L'ambiente è una risorsa rilevante per lo sviluppo della vita umana; al tempo stesso, il business e i progetti etici basati sulla tutela ambientale e sull'utilizzo delle energie verdi per uno sviluppo sostenibile di commerci e stili di vita più appropriati risaltano ogni giorno di più nel panorama mondiale. La salvaguardia dell'ambiente così come le iniziative per promuovere l'alfabetizzazione ambientale e il rispetto verso la fauna e la flora locali sono temi che coinvolgono milioni di persone e le lotte per la salvezza di alcune specie a rischio sono state in grado anche di creare movimenti con peso politico rilevante. Il social media marketing può essere uno strumento in più per coinvolgere un numero sempre maggiore di persone, fornendo delle ottime basi per sviluppare una rivoluzione culturale innovando il termine "ambientalista" e "animalista" verso un concetto meno ideologico, ma più basato sul quotidiano e sull'esperienza diretta delle persone con la Natura. I social network possono fungere da casse di risonanza, da aggreganti, da informatori e possono mostrare l'evidenza della realtà; in questo, il social media marketing e le tecniche di storytelling possono andare incontro alle esigenze di chiarezza, tempestività, divertimento, apprendimento. In questo caso, il marketing non ha lo scopo di vendere un prodotto o ricevere prenotazioni. Per l'ambiente il marketing può aiutare a promuovere iniziative culturali nate sotto spinte evoluzionistiche e, volendo, creative. Le persone hanno bisogno della Natura. La Natura ha bisogno anche delle persone. Natura e persone si sviluppano e migliorano insieme. Il social media marketing è un mezzo potente per tenere alta l'attenzione, spingere all'azione concreta, sensibilizzare un numero di utenti sempre maggiore e, infine, operare dei cambiamenti nella società foss'anche solo partendo dal cambiamento di atteggiamento di poche manciate di followers.

Che cosa vuol dire intervenire nel social media marketing oggi?
Intervenire sui social media oggi significa entrare in un flusso variopinto di opinioni e scardinare i cancelli dei dogmi imposti liberando le potenzialità della mente e della critica. Ogni persona ha un suo punto di vista, un evento da proporre, un libro da pubblicizzare, un movimento politico da sostenere o da modellare, qualcosa di importante da dire. Non tutti hanno voglia di esprimere i loro pensieri, ma leggono quello che gli altri scrivono, condividono, copiano, citano. E pensano. Talvolta si interrogano. Tal altra uno spunto è come il primo sassolino di una valanga. Per una persona non collegata ad aziende o associazioni, intervenire sui social significa conoscere stili di vita differenti e viaggiare, anche solo con l'immaginazione. Per le aziende e le associazioni non profit significa tentare di creare una mastodontica lente d'ingrandimento sul proprio marchio e sperimentare un nuovo rapporto con il cliente, i competitori, i successi, le critiche. Tutto questo si può riassumere nel semplice, quanto fondamentale, verbo "crescere".

Sotto i fiori di lillà dicevamo: a volte però questi fiori rivelano inaspettate spine. Molte aziende non capiscono come usare i media: ad esempio continuano a scegliere l'apertura di un profilo facebook invece che di una pagina. Quali sono nella tua esperienza gli errori più comuni?
Non vorrei parlare di errori comuni quanto di approcci simili e difficoltà condivise. La mia esperienza mi ha portato a confrontarmi con aziende e associazioni che, in potenza, avevano molto da dire. Il prodotto buono c'era, la causa etica era rilevante, i mezzi economici non mancavano, la percezione che i social fossero il futuro era presente. Mancavano, tuttavia, i contenuti e la voglia di spendere del tempo nell'imbastire un piano editoriale serio, costruito con solide basi aventi come obiettivo l'incremento della popolarità, delle vendite e delle donazioni. Mancava anche la voglia di confrontarsi con gli utenti; era presente il timore di disattendere e la voglia di imbavagliare le comunicazioni onde evitare critiche o richieste sentite nell'immaginario come troppo "difficili". L'atteggiamento che ho riscontrato più spesso - e che nella maggior parte delle volte ha penalizzato il progetto profondamente - è stato il non voler considerare parte dell'azienda o dell'associazione la persona che si occupava dei social, come se questa fosse qualcosa di esterno e di non rilevante, nonostante i dati statistici e i risultati in breve tempo raggiunti. Se dovessi proprio individuare un errore comune direi che questo si può concentrare nella difficoltà della gestione delle risorse umane e nella capestre scelta di persone non idonee a ricoprire ruoli in ambito social. Affidare l'immagine web di un'azienda a persone non competenti e poi togliere l'incarico per darlo a un nuovo professionista tenuto con contratto esterno è garanzia di problemi la cui sede nasce e si sviluppa nelle motivazioni personali e non professionali. Infine, l'esperienza mi ha portato a considerare che il budget sui social è importante, ma non indispensabile. Bisogna essere in grado di realizzare risultati anche senza budget e questo è un'altro dei problemi rilevanti riscontrati nel corso di questi anni.

Quali sono le difficoltà che oggi si incontrano a far capire alle aziende come organizzare una vera e propria campagna web?
Le difficoltà più significative che si incontrano si possono riassumere in tre concetti: gestione delle tempistiche, gestione dei contenuti, gestione delle risorse. La fretta e l'ansia del doverci essere per forza sono due sgambetti certi così come la mancanza di una visione contenutistica prospettica e l'indifferenza o l'ignoranza nella gestione delle risorse umane sono garanzia di problemi. Le aziende dovrebbero dare più rispetto a sé stesse, al loro prodotto, alle persone che operano per il loro successo e ai clienti. Troppe cose sono date per scontate e troppa faciloneria economica fa dimenticare, in alcuni casi, che il denaro è importante, ma non è tutto e non tutto si concretizza con il denaro. Pessimi comportamenti, mancata gestione delle rimostranze della clientela, comportamenti non etici riguardo alle critiche, assenza di ascolto sono tutti elementi che, alla lunga, possono portare un'azienda alla bancarotta. Anche con un profilo Facebook che vanta milioni di utenti.


Ci racconti una esperienza tua o di qualcuno che conosci che mostri questi errori?
Conosco una collega che è community manager per una grande catena di ristorazione europea. L'azienda madre l'ha contattata chiedendole, nell'arco di pochi mesi, diversi progetti per tre diverse tipologie di lavoro, finendo per accettare l'ultimo e azzerando tutti gli accordi in tempi record. La collega si è trovata a dover ricostruire da zero un lavoro senza budget. Per molti mesi ha chiesto una collaborazione più "vicina", dando disponibilità per incontri anche fuori sede a proprie spese. Il referente non le rispondeva per settimane e, quando la ricontattava, l'unico contenuto che le forniva era un elenco di critiche pesanti al suo lavoro. La collega non aveva a disposizione nessun contenuto. Non poteva crearne di nuovi, nemmeno andando in sede a fotografare di persona le pietanze o a creare ex novo video, musiche, sondaggi o concorsi. Non poteva invitare alla conversazione gli utenti e non poteva realizzare campagne pubblicitarie su Facebook, a meno ché non scegliesse di investire del denaro di tasca propria. Questo perché l'azienda non aveva alcuna intenzione di avere un rapporto con gli utenti. Voleva i social network, ma non voleva gli utenti, anche se il loro incremento era fissato come obiettivo primario a sostegno di strategie per incrementare la portata del brand e ampliare il parco clienti reale. Molti siti, blog e giornali hanno rivolto pesanti critiche al prodotto offerto e al servizio in ogni punto vendita e l'azienda non si è mai mostrata interessata realmente alla propria reputazione online, questo perché, nonostante tutto, per il momento non registrava perdite nelle presenze. Questa situazione ha provocato un impoverimento del lavoro sui social, una perdita di interattività, una menomazione professionale e un gran quantitativo di rabbia che si è manifestato nella chiusura del rapporto di lavoro. Ad oggi i social network della catena sono lasciati allo stato brado, mentre la collega è riuscita a trovare un nuovo impiego.

lunedì 25 febbraio 2013

E-commerce: opportunità o nemico? Il punto di vista dei negozi






Alberto Guarneri lavora nell’azienda di famiglia nel nord Italia: tessuti d’arredo, biancheria e oggettistica per la casa. L’ho incontrato in rete, in un gruppo Linkedin per la precisione, che dibatteva sull’e-commerce e se quest’ultimo sia da considerare il nemico principale dei negozi. Lui sosteneva che no, che invece è una grande opportunità. Per questo gli ho chiesto di spiegarci meglio cosa pensasse e come avesse strutturato la sua azienda con un sito particolare che lascio a voi scoprire, con uno store su e-Bay e con due pagine Facebook (azienda e prodotti per la casa). E in quale modo la strategia web si ponesse al fianco di quella tradizionale.

I negozi sembrano attaccati da ogni parte: liberalizzazione dell'orario, e-commerce, calo del passaggio. C'è un futuro per i commercianti?
Il commercio tradizionale è stato negli ultimi anni sicuramente messo sotto assedio su diversi punti di vista: liberalizzazioni senz'altro, la nascita di nuove forme di commercio organizzato e specialistico come gli outlet, lo sviluppo sempre crescente della grande distribuzione e la nascita di Centri Commerciali, più o meno sensati, anche in luoghi o cittadine di media o piccola dimensione e il raddoppio nelle città più grandi; ma anche provvedimenti comunali come il blocco del transito delle vetture in Centri Storici che, indipendentemente dall'opinione a favore o contro l'iniziativa, agisce soprattutto sui modi e le abitudini della clientela causando chiaramente lo svuotamento dei Centri Storici, limitando quindi il passaggio e conseguentemente le possibilità di vendita. Il trend ora sembra essere quello di "Organizzare" i flussi che il commercio crea verso zone precedentemente organizzate sia a livello logistico che dal punto di vista della filiera che va dal produttore al consumatore, mettendo nelle mani di chi ha maggior potere contrattuale e capacità manageriale, particolarmente nei settori come alimentare e abbigliamento che sono quelli maggiormente necessari, la possibilità di guidare la grande massa di clientela verso le proprie strutture dedicate. L'e-commerce si colloca tra quelle novità commerciali che possono mettere direttamente in comunicazione produttore e consumatore
Per il commercio tradizionale tutte queste nuove situazioni hanno tolto qualcosa e in certi casi hanno tolto talmente tanto da non giustificare l'esistenza del negozio stesso. Chi non può offrire servizi oltre ai semplici prodotti, trova senza dubbio molte più difficoltà.
Il futuro del commercio di vicinato è, a mio modo di vedere, da ridiscutere e se possibile da riqualificare, aiutandolo suggerendo idee nuove, formazione dedicata, spiegando con dati concreti che le situazioni sono cambiate e occorre lavorare in modo diverso per trovare una nuova collocazione sul mercato. 

Alcuni, o forse molti, negozianti ritengono che il mondo della rete costituisca una concorrenza più che una opportunità: che cosa ne pensi?

Nella RETE c'è sia concorrenza che opportunità; occorre attuare il processo di emancipazione culturale e formativo di cui parlavo prima. A mio modo di vedere c'è più opportunità che concorrenza perché se è vero che anche il mio vicino di casa potrebbe comprare un mio prodotto in rete è anche vero che io potrei avere un bacino di vendita addirittura globale. Il problema è se io sono capace, disponibile, sufficientemente formato e aperto a questa nuova esperienza di commercio. In più occorre il prodotto giusto. La rete è complessa e in evoluzione costante e rapida. La Rete non è soltanto e-commerce ma è anche e soprattutto comunicazione, con un pubblico nuovo ma anche con quello già fidelizzato. 

Quali strategie dovrebbe seguire un negoziante per allineare mondo reale e mondo virtuale?

Come ho detto prima il commerciante tradizionale può sopravvivere se "aggiunge" qualcosa in termini di servizi che possono essere soprattutto in termini di assistenza post vendita, informazione completa e competente e specificità del prodotto che vende. Quando si va in rete, se si vuole essere "trovati" occorre identificare qual è il pubblico a cui ci si vuole rivolgere perché sia proprio quello, che cercando, ci può trovare. Compiendo un'azione di ricerca esso manifesta già una scelta precisa ma compie molto spesso anche una domanda alla quale noi dobbiamo essere già in grado di rispondere, in buona parte, nel momento stesso in cui lui accede alla nostra home page o a una pagina ben specifica del nostro sito. Non è poi così diverso dall'approccio che dobbiamo, o dovremmo, avere con un cliente che entra in negozio.

Quali gli errori da non commettere per una attività di e-commerce?
Non essere trasparente. Non rispondere in tempi rapidi e in modo corretto alle richieste o chiarimenti che ci vengono posti (sarebbe come non rispondere o a farlo in modo non competente ed esaustivo a un cliente che ci chiede un informazione in negozio). Non offrire un'assistenza post vendita adeguata o non offrirla del tutto. Non offrire sistemi di pagamento e di trasporto che garantiscano il cliente che trasmettano serietà e aumentino la fiducia verso di noi.

Quali i vantaggi secondo te?
In primis, sicuramente lo smisurato bacino d'utenza a disposizione. Poi dal punto di vista contrattuale il vantaggio di avere pagamenti anticipati eseguiti da persone che hanno accettato già in partenza il metodo di vendita. Infine, ed è un concetto non diretto, l'apertura mentale che crea nel commerciante che si abitua a non aver a che fare solo con pubblico fidelizzato e che conosce ma con una molteplicità di persone differenti e con esigenze diverse  e diversificate. La possibilità che queste ci pongano delle domande o delle richieste può molto spesso suggerirci idee nuove o prodotti nuovi da mettere a catalogo. 

Quali, secondo te, i tre elementi che chi vuole affiancare al proprio negozio una attività di e-commerce non deve trascurare?

Informazioni dettagliate ed esaustive sul prodotto in vendita. Spedizioni veloci e con vettori affidabili. Assistenza post vendita. E, come già dicevo, ritengo che la formazione sia fondamentale.

venerdì 22 febbraio 2013

The morality of Twitter - Moralità vo' cercando



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La versione italiana è qui sotto: scorrere per trovare il testo in italiano.



What are you looking for using Twitter? Which is your goal?
I’m asking this because to me there are several way to use, or better say to be in, Twitter and each one has its dignity and legitimacy and value. But what I’m finding is a lot of posts and tweets of people teaching others that their way to use Twitter is not just weird or wrong, but even unethical. Are we really sure of that?

I might be wrong but I’m using Twitter for these main reason:
-      learn something: I can find a lot of good stuff there, links and ideas;
-      share contents: mine of course, to increase my reputation and maybe win clients, and others because I want to be a resource for my followers, like they are for me, and therefore I believe I have to share anything I believe can be valuable for them (RT or Twitting post)
-      play: chats, laugh, post pictures, have fun.

And I try to do the same for my clients too. I mean: try to disseminate their content. I just wrote content implying that I’m not available to share with my followers low quality advertisement with no value for the readers.

Now that’s a strategy. You may call it a wrong strategy, but not an unethical one. So if my strategy is to reach most people I can not to bully other people about the numbers of followers but to widespread the most my messages, why buying followers could not be considered a potential tactics? As I mentioned in a previous post quoting Roberto Marini, if this can ease your way to an extensive base of potentially interest reader… why not? Isn’t this close to choosing to advertize with Adsword or Facebook?
In my mind Twitter is very close to a radio: you do not stay tuned for hours (in a very small poll with friends and clients I came to the conclusion that you usually access to your TL for several time per day by you usually do not stay tuned for more than 15 minutes unless for special event, in which case you tend to use #) and what you missed is misses for ever.
So why not trying to reach more people?

Once more: I’m not saying that this should be the best strategy, it could be also the worst one, in which case I’ll get no results, but why claiming it’s immoral and blame those who decide to test it?


Versione Italiana 



Che cosa cerchiamo in Twitter? Che obiettivo abbiamo? Lo chiedo e me lo chiedo perché da un po’ i tempo a questa parte sono intrigato da questo tema e dalla veemenza con cui qualcuno reagisce alla possibilità di comperare followers. Andiamo per gradi: credo che ci siano molti modi di stare su Twitter, ognuno dei quali a mio parere è la sua dignità, la sua legittimità e il suo valore. Per cui mi inquieta vedere articoli di chi vuole insegnare agli altri ad usare Twitter non in senso tecnico quanto in senso morale. Come se alcune di queste scelte implicassero conseguenze etiche.

Personalmente uso Twitter per questi scopi

-      imparare: trovo un sacco di stimoli interessanti, link tweet stessi, idee. Molto più che su Facebook o altri social. Una vera miniera.
-      Per condividere contenuti che presumo siano di valore così da aumentare la mia fama e reputazione e magari trovare qualche cliente (già successo peraltro). Nel farlo vorrei essere una risorsa per i miei follone per cui non mi limito a postare link a MIEI articoli ma anche twitto o RT link interessanti o idee che mi hanno colpito.
-      Diciamolo…. Cazzeggiare: chiacchierare, ridere, postare fotografie, commentare. Insomma, sdrammatizzare e rilassarmi.

Cerco di farlo anche per i miei clienti. No, non… cazzeggiare, quanto condividere loro contenuti che ritengo abbiano valore per i follower, non certo banalità pubblicitarie o autocelebrazioni.

Ora, per me questa è una strategia: puoi dirmi che è sbagliata o inutile, ma non che è immorale!
Se dunque la mia straregia prevede di raggiungere il maggior numero di persone possibili perché non considerare l’effetto che può derivare dall’acquisto di follower?  Ne ho parlato in un post precedente riprendendo un articolo in cui si parlava dell’esperimento di Roberto Marini proprio a questo proposito. E mi è sembrata una buona idea.
Io vedo Twitter come una radio: non ci stai sempre sintonizzato e quello che è già stato trasmesso è perso per sempre (a proposito: ho svolto una rapida indagine tra amici e clienti e sono arrivato alle conclusioni che ognuno di noi accede anche più volte alla sua TL ogni giorno, ma non si sofferma mai più di 15-20 minuti di fila, a meno che non stai seguendo un evento, nella qual cosa generalmente segue un #).  Per cui poter disporre di una vasta audience, come una radio, che possa leggere e RT mi sembra una scelta utile.
Se poi non è così, beh saranno i risultati a dirmelo.
Sto parlando quindi di una strategia di marketing, non di cielodurismo virtuale, di sfoggio stupido di sedicenti followers per chissà quale stupida motivazione di egotronfismo. I miei oltre 5700 followers attuali me li sono costruiti uno dopo l’altro con rispetto per loro e per miei scopi. Sto considerando la scelta di Roberto Marini.  E proprio non riesco a capire perché una scelta del genere debba essere considerata immorale. 

mercoledì 20 febbraio 2013

Website from scratch - Dal nulla un sito


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La versione italiana è qui sotto: scorrere per trovare il testo in italiano.




How would you build a your website if you could start from scratch? Which will be the logic?
I have to suggest the structure, and therefore the rationale, for a bunch of startups in the area of fashion and for a school and I’d like to share with you some reasoning to get also your suggestions, if you will be so kind to share it with me.

There are two founding principles I believe I have to start from:
1) which is the message I’d like to address to my public (and by the way whom I’d like to talk to?)?
2) what would I like to find in a website of a company like mine if I were a client?

These seem easy question, at least the kind of questions any entrepreneur should be ready to answer promptly. But then again no.

I might have a clear understanding of who I am, and how I want to be perceived by the market, and thus have a straight answer to question nr. 1 but then, trying to answer to the second question can be an head hake.

I’ve learnt from Cristina Mariani that a website should be built in the clients’ dream not mine: no one want to fall on a wibesite stating how good I am, how brilliant is my company  and how creative are my products.
They want to know how much I know about their problems and how I could solve them.
Yes, now: how can I say that to someone looking for a nursery or an high school trying to make a difference? Or for glass jewels?

Here my assumption I’d like to offer to your judgment.

What are parents looking for while choosing a school? Of course they want to know about the timetable, the topics, the quality of the teachers, the specific requirements. I won’t start from these subjects to qualify my homepage. What about the environment, the support that the school could provide to the family to side their efforts in educating their kids, the way the school could provide values to the students. What else?

What a client is looking in a fashion website selling jewels and hand made garment? Are they just looking for comments about fashion or also anything that could be relevant for their lifestyle? In my opinion this web should address directly the goals of these ladies promoting their way of life, giving hints about how to dress –yes- but also how to cook or how to manage a business meeting. Should talk about Italy, if this is the way to position the creations sold in the e-shop connected.

You suggestions are warmly welcomed!



 La versione italiana



Come costruire un sito da zero? Quale logica utilizzare? Sto lavorando ad una serie di nuovi siti per startups nel campo della moda e per un istituto scolastico, anzi una famiglia di scuole diffuse in tutta l’Italia e mi fa piacere poter condividere con voi alcune idee anche perché conto (e spero) di poter avere il vostro aiuto e i vostri consigli in proposito.

Il punto di partenza è trovare risposta a queste due domande:

1)  qual è il messaggio che voglio dare al mio pubblico (e tra l’altro: chi è il mio pubblico?)
2)  che cosa vorrei trovare in un sito di questo tipo se fossi io il pubblico? Che cosa mi tratterrebbe qui e mi farebbe interessare al contenuto?

Sembrano domande facili, per lo meno domande alle quali ogni imprenditore o direttore dovrebbe poter rispondere agevolmente. Mica vero.

Potrei forse avere una chiara percezione di chi sono e come voglio essere percepito dal mercato (e con questo una risposta alla domanda 1 potremmo avercela) ma poi, beh cercare una risposta alla seconda domanda può dare le vertigini. Un bel rompicapo.

Ho imparato dalla bravissima Cristina Mariani  che un sito deve essere costruito secondo i sogni dei clienti, non i miei. Ne abbiamo le tasche piene di siti che magnificano la mia azienda, i miei prodotti, i miei servizi con un linguaggio copia e incolla che sembra dire tutto ma che non dice nulla. Specie nulla di nuovo.  Ciò che un cliente vuol sapere è che cosa so dei suoi problemi e come faccio a risolverglieli.
Ok, ma adesso: come faccio a dire queste cose a chi cerca un asilo nido o un liceo o chi sta cercando gioielli e a fare la differenza?

Ecco le idee che vorrei sottoporre al vostro giudizio:
che cosa cercano genitori che stanno scegliendo una scuola in un sito di una simile istituzione? D’accordo alcuni elementi pratici: l’orario, la divisa, la mensa, i libri. La qualità dei docenti, gli argomenti trattati, il cosiddetto POF, e così via. Ok, NON è da qui che penso valga la pena cominciare. Che ne dite del clima scolastico, delle opportunità offerte agli studenti per la loro crescita personale e professionale, il modo in cui la scuola affianca e sostiene le famiglie nel compito educativo, la scelta caratterizzante la scuola, il modo in cui la scuola offre ai propri studenti un valore aggiunto? Può essere un punto di partenza differenza?

E che cosa offrire a chi cerca elementi di moda, gioielli di vetro (non specchietti per le allodole si intende) accessori di qualità e classe? Solo parlare di moda? Come mi distinguerei da un fashion blog? Che cosa ve ne pare invece di affrontare i temi che possono interessare a donne interessate a questa particolare categoria di prodotti? Come essere sempre eleganti, come cucinare portate di classe, come gestire una riunione d’affari? Magari anche parlare dell’Italia se questo è un elemento chiave del posizionamento internazionale del prodotto?

Che ne dite? I vostri consigli sono davvero i ben venuti!

lunedì 18 febbraio 2013

Yes we blog! Perché aprire un blog



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La versione italiana è qui sotto: scorrere per trovare il testo in italiano.





Why did  I start blogging long ago? Maybe there was a sort of revenge against the impossibility of being published. Or it was just a way to stand up and follow my vanity in search of an audience. These can be reasons you could fight again any time you start thinking of launching a new blog. Indeed there could be another resistance to fight with: is there room for a new blog?
These three sharp post discuss against these oppositions and strongly suggest you to open a new blog anytime you believe it could be useful.
Now that’s the point: what do you mean by useful? For whom? Not for you. Or at least that’s not the first goal you should have in mind.
For your (potential) clients, should be the right answer.
You need to win reputation and using this simple tool is the best and easiest way: if you can think like a client of yours.
What would they want to read, what would they find useful, what they would connect to you?
Dorie Clark  writing in the Harvard Business Review Blog puts it simple: Writing is still the clearest and most definitive medium for demonstrating expertise on the web <…>If you want to have an impact, you might as well be the one setting the agenda by blogging your ideas”.

Rick Whittington adds 14 reasons why you must open a blog, let just pick some from his list, the less evident and usually told:  nr.8 grow your knowledge base and nr. 13 improve your sales skills. How comes? Well a blog is a good hook to learn more: both from your readers if you are able enough to make them comment and discuss (it seems this is a virtue I lack substantially) and to write new post you need to study, to search and surf the web. And you then learn how to sell to very different marketplaces, you learn the right questions to ask, how to position your solution and on and on.

And finally Jeff Bullas lists the 10 key step to reach the success in blogging. Maybe one could be including a Soundcloud stream of the post so that someone could prefer to listen to it instead of reading it. Two out the ten Jeff suggests are very strong to me: passion and value. If you do not love what you are doing, don’t even bother to start. It’s hard and annoying (sometime at list) and it could provide despair and frustration. So, without passion…. And then you may have passion but are you creating value to your readers or just writing for your own fun? Once more let’s get back to the only relevant question: what do my readers want from me?
If you need assistance I’ll be pleased to provide some hints at no charge of course!



La versione italiana



Perché bloggare? Perché anni fa ho iniziato a usare questo strumento? Vanità? Frustrazione per l’impossibilità di trovare qualcuno che mi pubblicasse? Rivincita? Voglia di pubblico? Può essere e queste possono essere motivazioni che ci trattengono dall’aprire un blog. Perché poi ce n’è un’altra altrettanto importante: ma c’è bisogno di un altro blog?
I tre post che vado ora a citare ci aiutano, con grande sagacia, a capire che sì vale la pena aprire sempre un nuovo blog, sapendo di essere in concorrenza e di dover dare il meglio per farcela ogni volta che lo riteniamo utile.
Questo è il punto: che cosa vuol dire utile? Per chi? Non per me. Non è uno strumento per alimentare la nostra voglia di visibilità. Deve essere utile, quindi produrre valore, per i nostri clienti.
Il che pone una serie di interrogativi importanti: chi sono? Che cosa vogliono? Che cosa si aspettano da me? Che cosa vogliono leggere? Che cosa cercano in rete? Finché non rispondiamo a questa domande non sapremo dare valore aggiunto. Non appena compreso come intrattenere i clienti, lanciamoci.
Il primo suggerimento è molto diretto: lo si deve a Dorie Clark  che scrive sul Blog della Harvard Business Review ponendola non modo semplice: “scrivere il il modo più chiaro e più diretto per dimostrare alla rete la tua esperienza <…> se vuoi fare il botto e avere influenza potresti essere proprio tu quello che fissa i temi e indirizza le discussioni bloggando le tue idee”.

Rick Whittington aggiunge 14 ragioni perchè sia una scetla obbligata quella di aprire un blog,  vi consiglio di leggere l’interessante post limitandomi qui a segnalare due dei 14 suggerimenti, quelli che mi hanno colpito perché meno frequenti e più intriganti: la nr. 8 impari di più e la nr. 13 impari a vendere sempre meglio.
Com’è possibile? Innanzitutto un blog è un ottimo stimolo per imparare di più: sia dai tuoi lettori attraverso i consigli e suggerimenti che possono derivare da loro attraverso le discussioni che riesci a creare (evidentemente questa non è una qualità che sembro possedere) sia perché per scrivere sempre cose nuove e interessanti sei costretto a leggere e studiare molto. Poi apprendi come vendere in “luoghi” molto diversi e quali sono le domande giuste da fare, come posizionare le soluzioni e così via.

Infine Jeff Bullas espone i 10 step essenziali per raggiungere il successo nel blogging. Una, non elencata, è offrire ai vostri lettori l’audio del testo così chi preferisce ascoltarvi invece che leggervi è… servito.
Due gli estratti anche da qui, due parole chiave: passione e valore. Senza passione non state neanche a cominciare. Scrivere un blog costa fatica, impegno, costanza. Se non vi piace, se non vi appassiona… E poi valore, senza valore anche al passione non basta. E qui torniamo alla domanda principale: che cosa racconto ai miei lettori?
Se posso essere utile dando qualche suggerimento, ovviamente gratuito, sono a disposizione. Parliamone. 

domenica 17 febbraio 2013

Buying followers: immorality or marketing strategy? Comprare follower è infamia o strategia?


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Would you blame me for buying twitter followers? “Yes, sure. And will despise you too for doing that!”
That would have been my answer to such a provoking questions till few days ago. Then I start thinking.
I jumped on a tweet by 00Vintage launching her post about this subject. It tales the story of Roberto Marini who just happened to by some 7000 followers to test what would be the final outcome and what he points out it’s really very interesting.
First he actually got something like 28.000 new followers, ¾ of them just produced by the rapid upgrade in visibility.
His reputation also increased dramatically. And if he already lost some of the bought followers, many more came out of the blue and are now staying just because what he tweets it’s really of their interest.
Now: is this an immoral behavior or just a marketing strategy?
In my humble opinion I would vote for the second chance: there is nothing immoral in buying follower, no more than investing in Adsword.  Actually we are not buying people, thus slaves, but presence on the web. We know very well how important is to be there and be noticed and be read. It’s an hard job to build a wide reputation if you can just rely on the word of mouth. It can be more fair and based on your true value, but if we do apply this rigorous ethical criteria, what about advertising?
I do believe that what can make a difference and thus also provide an ethical judgment, is the way you will use this increased popularity: if you just use it to bully your read, you’re out! Let me say: you are also stupid.
But if you just believe this is an heritage you should not waste at all, then you will work to leverage this bought reputation and will win new listeners not thanks to the purchase, but through your real value: the one you provide them.
What do you think about?


La versione italiana




È opinione corrente che comprare followers su Twitter sia una infamia da evitare a tutti i costi. Sia una mascalzonata che infanga chi la compie.
Lo pensavo anche io fino a poco fa. Poi ho iniziato a rifletterci sopra. E devo ringraziare 00Vintage  che grazie a questo suo post a proposito della vicenda  di Roberto Marini  mi ha costretto a ragionare.
Iniziamo dai fatti che lascio raccontare a Roberto “Io ho comprato 7000 foll per 100 USD (70€ circa). Me ne sono arrivati, come si vede, molti di più e non so bene perche. Cosa succede quando crescono i follower. Aumenta l'interesse verso di te: RT decuplicati, nuovi follower veri, molte interazioni.
Cosa succede quando si dice la verità. I defollow arrivano soprattutto dalle twitstars che forse si sentono indirettamente colpite da un gioco che smitizza fortemente il valore del numero followers. Tanti piccoli twitters mi hanno iniziato a seguire, qualcuno mi chiama guru. Un terzo del totale se ne frega completamente. Reazione che credo la più sana.”.
Riassumiamo: l’acquisto di followers provoca una reazione a catena per cui crescono rapidissimamente i followers indotti che poi libramente decideranno se restare –perché sono interessati a te- o se defollowarsi rapidamente.
Quindi non si tratta di schiavismo, ma di pubblicità.
Non vedo in questo nulla di così immorale, anzi mi sembra una strategia sul medesimo piano di una promozione di Adsword o Facebook.
L’immoralità potrebbe stare nel come finisco per usare di questa nuova popolarità: se per bullarmi o se per metterla al servizio dei lettori e dei miei clienti. Si tratta di una improvvisa eredità, acquisita, che devo valorizzare e non sprecare assolutamente.
La reputazione è importante, e la sua diffusione fondamentale: poterne disporre con strumenti che accorciano i tempi non mi pare azione che comporti devastanti infrazioni dei codici morali.
E voi che cosa ne dite?

venerdì 15 febbraio 2013

Taking off for 2014 - La strada spianata



English text first, to get the italian version scroll down.

La versione italiana è qui sotto: scorrere per trovare il testo in italiano.



How the world will change in 2013? What will the marketing look like this year? How could we increase our sales?
Social Media Examiner answers to this questions thanks to 21 experts describing the 21 relevant trends in web marketing for this year. I strongly suggest to read the post which is intriguing and full of hints.
I just like to focus on some points that seems to me more appealing for SMI:
- content marketing. People are upset by company magnifying their products. We, the market want to understand how your product can change my life, make it easier and smarter, why should I trust you and which value can you really provide to me. So start giving me something: we discussed it long time ago do you remember? And can you also remember how I got immediately rewarded by this policy of giving value first?
- Google Plus: I have to confess, I do not know very well what G+ is really and how it can be useful for business, althought a lot of people talks about it, like my friends and very reliable expert Gabriella Sannino and Stefania Boleso (take a look at their post written in english by the way). Do you have clues how G+ can be really used to promote brand reputation and sales? Please your hints will be more than welcomed.
- the growth of visual marketing: I believe here the challenge will be to produce images which are not product based but can truly inspire the market. And that is really for brave and creative marketers.


La versione italiana


Come cambia il mondo della vendita e del marketing nel 2013?
Quali le strade da seguire per non rimanere indietro rispetto al resto del mondo? In quest’altro articolo apparso sul noto e affidabile blog Social Media Examiner 21 guru del mondo del web marketing anticipano i trend del mercato per il 2013
Suggerisco caldamente di leggere interamente l’articolo che è fonte di molti stimoli e ispirazioni, vorrei soffermarmi qui su alcuni elementi che meritano un approfondimento.
Innanzitto tutto la crescente importanza del content marketing, che in qualche modo è in perfetta correlazione con l’esplosione dello storytelling e del value marketing. Noi consumatori siamo stufi di sentir magnificare il proprio prodotto, vogliamo capire perché scegliere e vogliamo sentirci trattati come persone.  
È quindi confermata l’indicazione che arriva ad esempio dalla Harvard Business Review  (ce lo racconta qui Cristina Mariani e qui io faccio alcune considerazioni accessorie) che spiega come l’approccio al mercato delle aziende debba spostarsi dalle famose 4P (prodotto, prezzo, pubblicità, posizione nel canale di vendita) all’acronimo SAVE: Soluzioni, Accesso (quindi interazione), Valore, Educazione. Che vuol dire condividere contenuti attraverso piattaforme che lo permettano e suscitare interazione continua con il mercato.
Poi la crescita di Google Plus, un social media che –confesso- non ho ancora capito bene e nel quale sto muovendo i primi passi per rendermi conto come funziona e come usarlo al meglio, sfruttando tutte le sue qualità. Ce ne ha parlato Simona Pozzi qualche tempo fa e Gabriella Sannino ne ha discusso con Stefania Boleso.
Infine l’esplosione del visual marketing, anche questa sensata in una società che si fa sempre più immagine. Qui la sfida è produrre immagini che non siano banali né strampalate, per poter fare la differenza.
E la PMI in Italia che cosa sta facendo per non perdere questo treno?

mercoledì 13 febbraio 2013

The importance of being e-commerce - L'importanza di essere on-line


English text first, to get the italian version scroll down.

La versione italiana è qui sotto: scorrere per trovare il testo in italiano.



Etro’s going e-commerce. The famous maison of luxury fashion has finally decided to open its boutique also on the web.  It’s not just a question of a growing attracting market (a yearly increase of 25% for luxury goods bought on-line for a total value of about 7 billions euro) but the fact that this is a market you cannot forget.
And what is surprising is what actually Ippolito Etro himself said about this decision (the whole article can be read here if you know Italian) “the on-line sales are the future and you can really access even the luxury world. To buy on-line is someway a form of exclusivity. We want to handle this in the same way we provide service to our clients in our boutique: the Etro way”.

That’s the point:  you cannot skip e-commerce if you want to expand your markets and reach people you could never reach in other ways. You can make more profits. You need to invest much less in advertising: brand reputation is cheeper!
But you need to find out your special way, a way that will differentiate you from any other in the marketplace.
Are you ready for that?


La versione italiana


Etro va on line. La esclusiva maison di lusso si è decisa ad aprire una boutique (in realtà molte) on line e lo ha fatto dopo una lunga riflessione. E non perché il mercato dia segnali decisamente confortanti: secondo recenti studi di Altagamma la vendita di bene di lusso on-line è aumentata del 25% nell’ultimo anno e ha superato la cifra di 7 miliardi di euro.
Ma perché questo è un mercato che non si può trascurare e nel quale bisogna essere presenti adesso!
Lo dice in termini molto chiari Ippolito Etro in questa intervista rilasciata al CorSera dalla quale estraggo alcuni elementi chiari “Le vendite online avranno un peso sempre maggiore: sono il futuro. Tanto vale imparare a gestirle da subito. Noi ci siamo presi questo rischio: vogliamo imparare. Come contropartita avremo la possibilità di un guadagno migliore -se gestisci l'e-commerce direttamente la marginalità è tutta tua, se c'è un terzo devi dividere- unito alla certezza di dare al cliente il servizio che intendiamo noi: nel pacchetto che arriva a casa, per esempio, è inserito un adesivo da applicare sulla scatola in caso di resa, il tutto a carico nostro. Etro è un brand che non fa licenze, persino il profumo è prodotto internamente. Per l'e-commerce abbiamo seguito la stessa strategia. mi sono reso conto che comprare online ha sfumature interessanti anche per i prodotti di lusso. Poter fare acquisti senza uscire di casa, per esempio, da molti è considerato un lusso. Abbiamo clienti a New York che si fanno portare tutto a casa, per poter scegliere con maggior privacy e tranquillità”. E-commerce sì, ma alla moda di Etro dunque.
Infatti qui c’è il punto: non soltanto è un errore escludere il commercio on-line dalle strategie di vendita perché garantisce maggiori profitti, ma soprattutto perché p il mezzo per raggiungere mercati che altrimenti ci sarebbero negati. E investire in brand reputation è molto meno costoso che farlo in pubblicità. L’importante è farlo nel proprio modo, scegliendo uno stile, un messaggio, un approccio che ci differenzi dalla concorrenza.
Siete pronti?

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