mercoledì 2 dicembre 2015

Conoscere lo shopper per vendere di più: intervista a Matteo Testori 2



Riprendiamo l’intervista a proposito del saggio Shopper Marketing  edito da Franco Angeli. Stiamo dialogando con l’autore, Matteo Testori, CEO di Dialogica, a proposito del nuovo panorama del retail e di come le decisioni vengano prese nel punto vendita nel “momento della verità”. La prima parte dell’intervista la trovate qui.

6.    In che modo il web può influenzare le decisioni di acquisto dello shopper?
Il web sembra essere, almeno fino ad ora, un canale prima di tutto informativo. Dalle ricerche, all’estero e in Italia, emerge che molti acquisti, non solo di beni che prevedono una spesa elevata, sono preceduti da una ricerca sul web. Anche il contrario è vero: si verifica nei negozi e si acquista sul web, dove spesso si trovano ottime occasioni. Insomma, anche nei canali di vendita regna e regnerà sempre di più la contaminazione, la sovrapposizione, l’ibrido.
7.    Lo shopper marketing serve solo per le grandi aziende che vendono nella grande distribuzione? Oppure può essere utile anche per chi vende nel canale tradizionale?
Assolutamente si: nel libro analizzo molti casi extra gdo; pensiamo ai beni di lusso. In alcuni casi abbiamo trovato nei negozi femminili più shopper uomini che, ovviamente, acquistavano per un regalo o una ricorrenza. Nel canale profumerie abbiamo analizzato il comportamento dello shopper rispetto a marche più o meno note all’avvicinarsi di alcune ricorrenze. Una marca di profumi per donna, appena lanciata, dimostrava un appeal molto maggiore del brand “storico” fino all’approssimarsi della…festa della Mamma. Più ci si avvicinava alla ricorrenza, più il brand “storico” aumentava il suo appeal (e le sue vendite). Comportamenti magari contro intuitivi che debbono essere ben chiari ai retailer e alle marche.
8.    Nel suo libro spiega che il momento della verità in realtà… si è moltiplicato in tanti momenti della verità? può spiegarci, in poche parole, perché e come?
Perché il processo di acquisto è lungo…una vita. Pensiamo alle marche a cui siamo assolutamente fedeli, magari fin dalla nostra giovinezza. Ciascuno di noi ha una ristretta rosa di marche a cui non è disposto a rinunciare: profumi, birre, automobili, smartphone, jeans, ma anche saponette, shampoo, creme, bibite…Più è elevato il nostro investimento emotivo più è per noi difficile abbandonare una marca che è un compagno, un segnale di come vogliamo rappresentarci nel sociale. A questi brand diamo fiducia e questa deve essere ricambiata, sempre. La iper competitività ha fatto proliferare le “sirene” che tentano lo shopper ogni giorno. Ecco che i momenti della verità si moltiplicano: essere in cima alla lista di desiderabilità (quello che si dice “top of mind”) è una trincea da difendere più che una eredità da coltivare. Riuscire a catturare l’attenzione e l’interesse davanti a uno scaffale, dove mediamente si decide in 4 secondi, è vitale. In questa manciata di secondi si scarica l’attività di marketing (e gli investimenti!) dell’impresa.  La prova e il riacquisto del prodotto sono strettamente legati fra loro: se il consumatore non gradisce un prodotto è assai difficile che lo ricompri. Il servizio post vendita, per molti consumatori un vero calvario fra call center, centri di assistenza che sembrano progettati per soddisfare una procedura piuttosto che un cliente. Insomma: aumento della complessità, ma anche incremento delle possibilità per coloro che hanno voglia di ascoltare, guardare, verificare, capire e…investire.
9.    Quali errori non deve commettere la PMI oggi nel proporre i suoi prodotti sul mercato?
Non deve cedere alla tentazione di copiare. Come diceva Jack Trout, insieme al Al Ries il precursore del concetto e dei modelli di brand positioning, se hai di fronte qualcuno che è molto più grande di te, cioè con molte più risorse, alla lunga perderai. Nei mercati la dimensione conta, e non poco. L’impresa piccola deve, ripeto, deve, avere una profonda convinzione; se non sarà sempre più innovativa dei suoi competitors soccomberà. En passant: questo è sempre stato il credo di Steve Jobs…
10.Che cosa dovrebbe sempre fare l’imprenditore italiano per poter pianificare strategie di successo?
Fare l’italiano e imparare dagli statunitensi: abbiamo una cultura, un territorio, dei prodotti, delle specificità, uniche al mondo. Alimentari, Moda, Arredamento, Design… a proposito, è sempre possibile aggiungere del buon design a ogni prodotto (Apple docet…). Il metodo, l’organizzazione, la pazienza e, spesso, le risorse, non solo economiche, ma anche culturali, sono i nostri talloni di Achille. Siamo imbattibili nella qualità intrinseca dei prodotti ma spesso inadeguati nel marketing, nell’organizzazione, nei processi e, più in generale, nella cultura di management.
11.Quanto è importante conoscere “l’etologia dello shopper”, vale a dire il suo modo di comportarsi nel punto vendita e non solo?
Trovo che etologia sia un termine molto adatto, dato che rimanda al comportamento in uno specifico ambiente; gli psicologi conoscono bene il cosiddetto errore di attribuzione di base, cioè la nostra tendenza a soggettivizzare i comportamenti senza considerare il contesto in cui le persone agiscono. Lo shopper è un “animale” sociale, economico, su cui si scaricano le esigenze di coloro che gli delegano gli acquisti. Quindi, conoscere lo shopper ma anche l’ambiente in cui si muove e i consumatori che rappresenta.
12.Quanto valgono le segmentazioni, i quadrati semantici, i profili di buyer persona secondo lei?

Vista la massa di informazioni da elaborare, l’aggregazione degli shopper in cluster è, di fatto, una necessità. Su quali fattori creare i cluster? I sociodemografici, gli acquisti? Ogni pre configurazione esclude per definizione delle variabili che possono essere molto rilevanti. Nella prassi corrente si creano prima le classi e poi si forzano le variabili all’interno di esse. Al contrario, bisogna individuare i fattori che per ogni shopper determinano l’acquisto, creando un ranking. Clustering sui comportamenti e sui fattori realmente rilevanti; da qui la necessità di creare cluster dinamici in “tempo reale” rispetto alle variabili rilevate e rilevanti. Il mondo è troppo complesso per racchiuderlo in modelli definiti a priori. Nel libro ho cercato di dare una panoramica su alcune tecnologie che, se ben amalgamate fra loro, rendono tutto questo possibile.

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